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Delitto Cordì, il pentito "platiese"

giustizia

Colpo di scena al processo d’appello bis per l’omicidio di di Salvatore Cordì, nel quale l’unico imputato è Michele Curciarello, accusato di essere stato l’esecutore materiale del delitto. All’udienza di ieri il pg Adriana Fimiani ha chiesto l’audizione del collaboratore di giustizia Domenico Agresta, alias “Micu Mc Donald”, su quanto di sua conoscenza il relazione all’omicidio, avvenuto il 31 maggio 2005 a Siderno.

Domenico Agresta, 28 anni, risulta nato a Locri e residente a Volpiano, nell’hinterland torinese. È nipote dei fratelli Marando, originari di Platì, alcuni dei quali indagati nell’ambito della maxioperazione antimafia denominata “Minotauro”.

È il primo processo nel Reggino nel quale la pubblica accusa chiede l’esame del 28enne Agresta, il cui nome è apparso sulla stampa nazionale nel dicembre scorso, nell’ambito dell’indagine per l’omicidio dell’allora procuratore capo di Torino Bruno Caccia, ucciso nel 1983.

Alla richiesta della Procura generale si è opposto l’avvocato Cosimo Albanese, difensore dell’imputato insieme all’avvocato Salvatore Staiano. La Corte d’assise d’appello ha riservato ogni decisione rinviando il processo al 19 giugno.

In origine la procura distrettuale di Reggio Calabria ha ritenuto di inquadrare l’assassinio di Salvatore Cordì, detto “u cinesi”, nell’ambito della faida di Locri tra le famiglie Cataldo e Cordì, che sarebbe ripresa nel 2005. Ma sono stati processati in vari filoni e tutti assolti con sentenza definitiva cinque imputati: Antonio Cataldo, Domenico Zucco, Antonio Panetta e Antonio Martino. Allo stato l’unico imputato per il delitto è Michele Curciarello la cui posizione è tornata al vaglio dei giudici reggini dopo che la Corte di Cassazione ha annullato la condanna all’ergastolo dell’imputato, successivamente scarcerato per decorrenza dei termini, in accoglimento della tesi degli avvocati Staiano, Albanese e Aricò, che hanno sostenuto la mancanza di un movente. E hanno sollevato rilievi in materia di stub, relativamente ai protocolli scientifici che garantiscono l’esito da “inquinamento innocente” da residui di polvere da sparo.

Alla precedente udienza del processo d’appello bis i giudici della Corte d’assise d’appello hanno rigettato la richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale in relazione all’esame di alcuni tra investigatori e testimoni che avrebbero dovuto riferire sulla “catena di custodia” di alcuni reperti.(r.m.)

IL PERSONAGGIO (articolo a firma Giuseppe Legato, da “La Stampa” del 20 dicembre 2016)

Un omicidio su commissione nel 2008 e legami di parentela con la famiglia Marando

Lo chiamano «Micu McDonald» forse per ironizzare sulla stazza fisica. Ma su Domenico Agresta, 28 anni, nato a Locri, residente a Volpiano, c’è davvero poco da scherzarci sopra. Grosso, ma anche spietato. Si è presentato al mondo della malavita calabrese otto anni fa. Con un omicidio. Aveva 20 anni: era il 16 ottobre del 2008. Borgiallo, piccolissimo comune del Canavese, fa da sfondo a una vera e propria esecuzione. Agresta spara un colpo secco alla nuca di Giuseppe Trapasso, 23 anni all’epoca, piastrellista di San Benigno. Prima lo attira in una trappola, poi lo uccide. Un complice brucia l’auto con il corpo dentro per cancellare le prove. Mentre il cadavere di Trapasso fuma ancora, «Mc Donald» torna a ballare, al night in cui si erano conosciuti: il Kiss One di Priacco. E beve champagne. Pensa di averla fatta franca, ma non è cosi. A quell’epoca i carabinieri hanno microspie «ambientali» sulle auto dei boss che verranno arrestati tre anni dopo nella maxi operazione Minotauro. È notte quando uno di loro parla di quell’omicidio. «Ti ricordi il giovanotto? Micu?» E l’altro: «Sì, l’ha autorizzato Torino». È la fine.

Lo arrestano a Roma, nel parcheggio interrato dell’ospedale San Camillo. Insieme a lui c’è un ragazzo dal cognome pesante: Luigi Marando. È figlio di Pasquale Marando, superboss del narcotraffico mondiale ucciso in una faida calabrese a fine gennaio del 2002. Agresta è cugino del primo e nipote del secondo. Ed è il «pedigree» familiare di questo giovane collaboratore di giustizia che fa sì che le dichiarazioni che sta facendo ai pm di Torino potrebbero avere pesanti risvolti su una dinastia lineare di boss e gregari. Suo padre Saverio Agresta è uscito pochi anni fa dopo una lunghissima detenzione. Suo zio Antonio Agresta, 56 anni, è in carcere per droga. Altri suoi cugini sono imputati nel processo Minotauro. Sua madre, Anna Marando è sorella di Pasquale, ma anche di Domenico Marando e di Rosario. Questi ultimi, insieme ad Antonio Spagnolo e altri, sono imputati – separatamente – nei processi per l’omicidio di Francesco Mancuso, Antonio e Antonino Stefanelli, avvenuti a Volpiano il 1. giugno del 1997. E nell’omicidio di Roberto Romeo, ammazzato a Rivalta il 30 gennaio 1998.

Se dice ciò che sa potrebbero aprirsi enormi scenari per gli investigatori torinesi. La ‘ndrina degli Agresta non ha mai avuto pentiti. A differenza dei Marando, falcidiati dalle condanne e dalle faide, e dei Trimboli, ridimensionati da lupare bianche e arresti, gli Agresta – spiegano gli investigatori – sono rimasti in piedi.

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