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Finisce “sotto chiave” a Reggio il patrimonio della cosca Labate

Finisce “sotto chiave” a Reggio il patrimonio della cosca Labate

Sotto chiave dello Stato l’impero della famiglia Labate, una delle più potenti cosche di ’ndrangheta di Reggio con influenza nei popolosi quartieri della periferia sud, Gebbione e Sbarre. I militari della Guardia di Finanza hanno eseguito ieri un provvedimento di confisca, emesso dal Tribunale sezione “Misure di Prevenzione”, in relazione al patrimonio, costituito da imprese commerciali, beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie, riconducibile a personaggi «indiziati di appartenenza alla cosca». Un impero che gli inquirenti hanno quantificato in 33 milioni di euro.

Tra le persone colpite dalla misura di prevenzione spicca il nome di Michele Labate, 62 anni, per la Procura distrettuale antimafia di Reggio esponente di vertice dell’omonima cosca accanto al fratello capoclan, Pietro Labate (classe 1951). Nel mirino del Tribunale di prevenzione anche i fratelli Giovanni e Pasquale Remo, gli imprenditori legati da rapporti di parentela con i Labate (Giovanni Remo particolarmente noto in città per essere stato il vicepresidente della Reggina Calcio ai tempi d’oro della serie A) già condannati (con sentenza non definitiva) per concorso in associazione mafiosa. La misura di prevenzione patrimoniale ha soprattutto interessato il patrimonio immobiliare degli eredi di Antonio “Tony” Finti (classe 1942), un commerciante reggino deceduto nel 2014 che avrebbe fatto da “testa di legno” per gli affari del clan Labate. La sua vicinanza alle ’ndrine di Gebbione è stata ricostruita attraverso «le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia» che hanno tratteggiato il profilo imprenditoriale di Finti «quale soggetto a disposizione della cosca “Labate” e deputato al reimpiego dei proventi illeciti attraverso acquisizioni immobiliari». Nel dettaglio il provvedimento del Tribunale ha disposto l’irrogazione della misura personale della Sorveglianza speciale di Pubblica sicurezza nei confronti di Michele e Pietro Labate, Pasquale e Giovanni Remo; la confisca del patrimonio riconducibile a Michele Labate, Pasquale e Giovanni Remo e ai relativi nuclei familiari, oltre che agli eredi di Antonio Finiti, per un valore complessivo di circa 33 milioni di euro costituito dal patrimonio e quote sociali di 5 complessi aziendali, 62 beni immobili (fabbricati e terreni) ubicati a Reggio, 3 autoveicoli e rapporti finanziari-assicurativi e disponibilità finanziarie.

La ricostruzione investigativa del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria-Gico e del Nucleo Speciale Polizia Valutaria delle Fiamme Gialle ha consentito di delineare la pericolosità sociale qualificata delle persone coinvolte, qualificare le imprese a loro riconducibili come «“imprese mafiose” in quanto nate e accresciutesi sfruttando il potere mafioso della cosca “Labate” per sbaragliare la concorrenza, imporsi sul mercato, procurarsi clienti, con totale alterazione delle regole della concorrenza, finendo per operare nella zona di competenza in posizione sostanzialmente monopolistica».

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