«Il Giudice Scopelliti fu ucciso perchè era un ostacolo ai programmi di cosa nostra». A dirlo è stato ieri il procuratore di Reggio, Giovanni Bombardieri, nell'audizione tenutasi davanti la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali.
A Palazzo San Macuto, con accanto il presidente Nicola Morra, ha risposto per oltre due ore alle domande dei componenti (da Jole Santelli, a Gianrusso, Velini, Indrizzi, Orlando, Corrado, Aiello). Tema centrale, che ha concentrato la parte nevralgica dell'audizione, l'attuale indagine della Procura distrettuale antimafia di Reggio che a 28 anni di distanza dal barbaro agguato consumato sui tornanti di Piale di Campo Calabro sta provando a fare luce su mandanti ed esecutori del delitto del Giudice Antonino Scopelliti.
Inevitabilmente tante risposte sono state secretate e quindi nulla trapela rispetto ai temi già emersi dal giorno in cui sono stati notificati 18 avvisi di garanzia. Sette esponenti di primo livello di cosa nostra palermitana e catanese; dieci personaggi di rilievo assoluto della 'ndrangheta reggina. I De Stefano e i Piromalli innanzitutto, l'èlite della criminalità organizzata calabrese.
Intanto qualche accenno sulla svolta dell'indagine. La chiave resta Maurizio Avola, il collaboratore di giustizia catanese che ha indicato il nascondiglio del fucile con cui il commando avrebbe sparato (anche) per uccidere Scopelliti.
L'articolo completo sulla Gazzetta del Sud - edizione di Reggio Calabria in edicola.
Scopri di più nell’edizione digitale
Per leggere tutto acquista il quotidiano o scarica la versione digitale.
Caricamento commenti
Commenta la notizia