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Operazione Eyphémos, così la 'ndrangheta muoveva voti in Aspromonte

Un rullo compressore. È la macchina elettorale della 'ndrangheta, forte di strumenti di pressione di ogni tipo, capace di mettere insieme voto su voto. E di accertare chi nelle urne si è comportato “come dovuto”.

Il sistema è ricostruito nei dettagli nell'ordinanza di custodia cautelare sfociata nell'operazione Eyphémos, un vero e proprio terremoto tra Sinopoli e Sant'Eufemia d'Aspromonte “roccaforte” del neo consigliere regionale Domenico Creazzo finito ai domiciliari. Proprio in vista delle regionali le 'ndrine avrebbero messo in moto, secondo la Dda di Reggio, il loro schiacciasassi. Lì dove il lavoro è una chimera, l'amo infallibile è rappresentato proprio dalla promessa di un posto.

E questo sarebbe stato garantito a un gruppo di venti ragazzi («il cui voto è stato “acquistato” in cambio di un lavoro che era stato loro reperito», annotano gli inquirenti) delegati ad effettuare la raccolta dei voti “porta a porta” nella zona aspromontana, «facendo pressione a loro volta sull'elettorato, attraverso - ricostruisce l'accusa - la richiesta all'elettore di documentare il voto con la fotografia della scheda elettorale recante la preferenza espressa». E per mettere in moto la macchina sarebbe stata necessaria una trasferta dalla Germania di un autorevole rappresentante della criminalità organizzata.

Siamo tra dicembre e gennaio scorsi, dunque alla vigilia del voto. Alla riunione operativa avrebbe preso parte anche Nino Creazzo, fratello di Domenico, accusato di scambio elettorale politico-mafioso. La relativa accusa mette su nero su bianco le ipotesi della Dda: «Nel corso della riunione organizzata da Francesco Vitalone in accordo con Antonino Creazzo, con la partecipazione di Giorgio Vitalone, che evocava con la sua mera presenza il controllo delle elezioni regionali da parte dell'organizzazione mafiosa Alvaro, era stato imposto al gruppo dei ragazzi un maggiore attivismo nella ricerca dei voti, tra l'altro secondo una precisa direttiva “tracciata” dalla 'ndrangheta (la “documentazione” del voto da parte dell'elettorato), con la minaccia peraltro di fare perdere il posto di lavoro che era stato loro reperito proprio in cambio dell'attività richiesta».

Il messaggio è chiaro: «Ragazzi vedete che a Sinopoli li dobbiamo contare sezione per sezione», dice Vitalone intercettato. Un'autentica task force che deve andare casa per casa: «Loro devono andare da loro padre, dai suoi zii, dai suoi cugini e a dirgli ... problema, non devono essere proprio belli rilassati, capisci?». Sarebbero stati chiamati uno per uno perché «<vedete che qua non giochiamo». Così è andata, secondo la Dda. E così potrebbe essere andata chissà quante altre volte, dallo Stretto al Pollino. D'altra parte, esultava - intercettato - Antonino Creazzo: «Tutti, tutti, tutti... tutti in prima linea... stanno facendo l'ira di Dio».

A Sant'Eufemia la tensione si tocca con mano. L'ultimo caso è scoppiato dopo un servizio de “La C”, il cui inviato ha chiesto un commento al parroco Marco Larosa. Che, chiedendo di non essere ripreso, dice di «essere super partes» tra cosche e magistratura. Ieri sulle parole di padre Larosa è arrivata la precisazione della Diocesi di Palmi-Oppido Mamertina (come riferiamo in questa stessa pagina), ma resta surreale l'atmosfera nel paese dove un edicolante spiega, anche lui intervistato da “La C”, che preferirebbe non vendere giornali che parlano della vicenda.

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