Aveva annunciato una conferenza stampa, poi ha preferito scrivere una lettera aperta «per dare – spiega Massimo Ripepi – un’immagine oggettiva della verità dei fatti per come io li ho vissuti, scevra anche da condizionamenti emozionali dovuti, in questo momento, all’afflizione che questa vicenda ha causato a me e a tutta la mia famiglia, vittime di una scellerata macchina del fango, fondata sulle sole affermazioni di una parte, che sono purtroppo scaturite, anche sui social, in minacce di morte nei miei confronti e offese di gravità inaudite».
«L’essere iscritto nel registro degli indagati, tuttavia, non equivale né a essere imputato di reato, né tanto meno essere stato già condannato. Condanna che invece ho già subito a livello mediatico, sotto tutti i punti di vista: giuridico, sociale e morale, con diretto coinvolgimento non solo della mia persona ma anche della mia fede, della mia storia di azione sociale e politica. Sulla vicenda in sé e in particolare sul contenuto delle dichiarazioni che la madre della piccola avrebbe reso al Pm, così come riportate negli stralci dell’ordinanza emessa dal Tribunale per i Minorenni, trascritti in molti articoli di giornale, voglio precisare che tutte le circostanze sulle quali io posso riferire sono assolutamente false perché avvenute alla mia presenza e con il mio diretto coinvolgimento. I fatti, pur essendo assunti alle cronache in questi giorni – scrive il consigliere comunale –, risalgono a qualche anno fa, e mi hanno coinvolto solo perché da sempre ho orientato la mia vita al sostegno dei più deboli e dei bisognosi, convinto che c’è più gioia nel dare che nel ricevere, pur nella consapevolezza che donarsi agli altri alle volte significa esporsi al giudizio altrui e spesso al vituperio».
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