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Melito, da paziente a medico di successo: la storia di un reggino e di un'Italia migliore

Carmelo Gurnari, ricercatore a Tor Vergata, commenta da Cleveland: «I riconoscimenti portano responsabilità, resto umile e vado avanti»

Ha una storia commovente alle spalle e un futuro radioso davanti, che sta disegnando con la tenacia e la determinazione di cui ha cominciato a dare sfoggio nel momento più buio della sua giovane vita. Aveva appena vent’anni Carmelo Gurnari quando gli venne diagnosticato un linfoma di Hodgkin. Contro quel male ha lottato e vinto. Ed è stato proprio l’insorgere di quella terribile patologia che lo ha indotto a seguire gli studi di medicina. Affascinato dal suo medico curante, che sarebbe divenuto il suo mentore, il professore Franco Locatelli, primario di Oncoematologia al Policlinico San Matteo e docente alla facoltà di Medicina dell’Università di Pavia, voleva conoscere, capire, andare a fondo. Voleva diventare uno specialista per poter aiutare chi si sarebbe trovato nella sua condizione di malato oncologico, terrorizzato dall’incertezza del futuro.

A distanza di sei anni dalla discussione della tesi (estate 2015), il dottore Gurnari, oncoematologo e ricercatore presso l’ateneo romano di Tar Vergata, sta cominciando a raccogliere i frutti del suo infaticabile impegno. Il più recente è arrivato sotto forma di un prestigioso riconoscimento: il premio “Professore Giuseppe Moscati”. Giunto alla sua XXXIII^ edizione, patrocinato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Senato della Repubblica, dalla Regione Campania e dalla Provincia di Caserta. Il medico originario di Melito Porto Salvo ha ricevuto il riconoscimento per la sezione “Angeli della vita” con questa motivazione: «È la storia di un’Italia migliore: da malato di cancro a oncologo, un giovane medico che lavora senza sosta per essere d’aiuto a chi, sul proprio cammino, è costretto a fare i conti con il male. Una storia che ci dice che una sanità fatta di medici che ascoltano e sanno parlare ai pazienti farebbe degli ospedali un luogo migliore, e lo scambio empatico è umano ed è sano se guarda al merito e allo sforzo. Ma, soprattutto, ci racconta con il sorriso di oggi di Carmelo che lottare si deve, vincere si può. Anche un tumore».

Del conferimento del premio Carmelo ha saputo da Cleveland, negli Stati Uniti, dove si trova dal 2019 per motivi di studio (si è specializzato in ematologia traslazionale) e di ricerca (assieme ad alcuni colleghi è impegnato in una lavoro sulle leucemie acute e malattie rare). «Sono stato veramente lusingato – ha commentato – dalla notizia di questo prestigioso riconoscimento che mi è stato assegnato. Ringrazio di cuore la dottoressa Ullucci, presidente del premio Moscati, per la stima che ha riposto nella mia persona e nel mio lavoro di ricerca».

Su questo versante l’impegno di Carmelo Gurnari alla Clevaland clinic foundation è destinato a proseguire ancora per qualche mese. «Mi fermerò in Ohio fino alla prossima estate, dopodiché rientrerò in Italia, per proseguire la ricerca a Tor Vergata, dove avrò di nuovo come riferimento diretto la professoressa Voso, la cui guida nel mio percorso di specialità e dottorato di ricerca è stata illuminante. Posso dirmi fortunato di avere avuto il privilegio di poterla seguire, così come mi ritengo fortunato di aver potuto seguire il professore Locatelli».

All’ombra dei suoi mentori, il giovane oncoematologo sta facendo un percorso di crescita notevole che non passa inosservato, come comprovato dai segnali che continuano ad arrivargli da più parti. Come nel caso dei premi ottenuti dall’associazione “Best young hematologist abstracts”, dalla Società europea di trapianto di midollo osseo, o come la nomina a membro della American Association for the Advancement of Science. «I riconoscimenti arrivati sono gratificanti sotto tutti i punti di vista, ma sono anche portatori di nuove responsabilità. Il loro “peso” mi ricorda che c’è chi crede in me e io non voglio deludere nessuno in alcun modo. Devo quindi restare concentrato sul lavoro, andare avanti con determinazione, ricordarmi che l’umiltà è una virtù da cui non è mai opportuno separarsi».

L’esperienza negli Stati Uniti è stata ovviamente “condizionata” dal Covid-19. «Vivere in un Paese profondamente segnato dalla pandemia non è stato il massimo. Per fortuna la direzione della clinica ha adottato tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza generale. Tra l’altro, di recente sono stato vaccinato assieme ai colleghi, per cui adesso si percepisce una maggiore tranquillità. A proposito di vaccino, invito tutti quanti a farselo somministrare. Se vogliamo porre fine all’emergenza sanitaria non abbiamo alternative»

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