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'Ndrangheta nel Reggino, arrestato a Madrid il "boss dei boss" Domenico Paviglianiti

Elemento apicale dell’omonima cosca 'ndranghetista, operante nei comuni di San Lorenzo, Bagaladi e Condofuri, Paviglianiti era attivo nel traffico internazionale di stupefacenti. Ha avuto un ruolo di prim'ordine, nella seconda guerra di mafia appoggiando la cosca De Stefano nella sanguinosa faida con i Condello.

I carabinieri di Bologna e la polizia spagnola hanno arrestato a Madrid il latitante di 'ndrangheta Domenico Paviglianiti, 60 anni, «il boss dei boss" come era chiamato negli anni Ottanta e Novanta. E’ destinatario di un provvedimento di esecuzione di pene concorrenti per 11 anni, 8 e 15 giorni, emesso il 21 gennaio dalla Procura di Bologna per i reati di associazione di tipo mafioso, omicidio e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Paviglianiti era stato rimesso in libertà nell’ottobre 2019, sulla base di un erroneo calcolo della pena. Aveva lasciato lasciato l’Italia e si era rifugiato in Spagna.

L'arresto

Paviglianiti è stato arrestato il 3 agosto da Polizia Spagnola, Udyco Central, e dai carabinieri del comando provinciale di Bologna, nucleo investigativo, coordinati dal procuratore Giuseppe Amato e dai pm Roberto Ceroni e Michele Martorelli, in collaborazione con Eurojust (Filippo Spiezia) e in raccordo con il Servizio di cooperazione internazionale di polizia.

Chi è il "boss dei boss" di San Lorenzo

Ritenuto elemento apicale dell’omonimo casato 'ndranghetista, tuttora operante nei comuni di San Lorenzo, Bagaladi e Condofuri (Reggio Calabria) con ramificazioni nel Nord Italia, in particolare in Lombardia, e nel Sud America per la gestione del traffico internazionale di stupefacenti, Paviglianiti era già stato condannato all’ergastolo (pena in seguito sostituita con la reclusione per 30 anni) per una serie di omicidi, associazione di tipo mafioso e reati di droga, commessi a partire dagli anni '80. Ha avuto un ruolo di prim'ordine, spiegano i carabinieri, nel corso della cosiddetta seconda guerra di mafia, quando insieme ad altre famiglie di 'Ndrangheta della provincia di Reggio Calabria aveva appoggiato la cosca De Stefano nella sanguinosa faida con i Condello. L’indagine che ha portato a rintracciarlo nasce dal nuovo provvedimento emesso dalla procura bolognese, arrivata dopo un ricorso in Cassazione che ha rilevato il calcolo errato che aveva rimesso in libertà il boss.

Le influenze sulla politica

Nel corso dell’indagine dei carabinieri che ha portato all’operazione “Ecosistema” è emerso come la cosca Paviglianiti abbia esercitato la propria influenza anche sulle elezioni del 2014 al Comune di San Lorenzo. La ’ndrangheta, in particolare, aveva preteso il ritiro di una lista per le elezioni comunali, poi non effettuate per mancanza di candidature.  Secondo la ricostruzione degli investigatori, i Paviglianiti avrebbero preteso che Rosario Azzarà, l’imprenditore al centro dell’indagine, che voleva proporre una propria candidatura, rinunciasse addirittura a presentare la lista. Da altre acquisizioni investigative si era appreso anche che Azzarà, ritenuto dagli inquirenti espressione imprenditoriale della cosca Iamonte, nel momento in cui si “insedia” nel territorio di competenza di un’altra cosca, segnatamente nello specifico la cosca Paviglianiti, sia comunque tenuto a pagare dazio. Azzarà, al pari degli altri imprenditori che intervengono nella realizzazione dello stabilimento Ased di contrada Agrifa di San Lorenzo, deve rendere conto alla cosca territorialmente egemone: l’azione estorsiva assume le forme più svariate, dall’imposizione delle forniture e delle assunzioni fino all’esplicita richiesta di esborso di denaro.

Il predominio a San Lorenzo

I Paviglianiti, secondo la Dda, ormai da decenni dominano la scena a San Lorenzo. In particolare da quando Domenico Paviglianiti è assurto agli onori della cronaca collocandosi al vertice di uno schieramento criminale che aveva anche delle proiezioni fuori dai confini provinciali e regionali, fino in Lombardia. Domenico Paviglianiti, come emerso da precedenti inchieste della Direzione distrettuale antimafia reggina, si è ritagliato un posto importante nel contesto del narcotraffico che ormai da tempo è diventato la principale fonte di guadagno illecito delle cosche della ’ndrangheta. La prima inchiesta antimafia sulla cosca Paviglianiti risale alla seconda metà degli anni Novanta e ha portato all’operazione “Gallo”. Una dopo l’altra, altre inchieste si sono occupate dell’organizzazione criminale attiva a San Lorenzo e dintorni. L’ultima, in ordine di tempo, risale a qualche settimana addietro e ha fatto luce sul sistema delle estorsioni imposte dalla cosca.

Scarcerato e di nuovo latitante

Scarcerato due volte nel giro di due mesi per fine pena. Negli anni Ottanta e Novanta Domenico Paviglianiti era considerato un “boss dei boss” della ’ndrangheta reggina. Pluriomicida, ergastolano, catturato in Spagna nel 1996 e due anni dopo estradato, per molto tempo è stato protagonista di un intricato rimpallo giuridico, una battaglia tra i suoi legali e le diverse autorità giudiziarie che hanno valutato e calcolato, in modo diverso, quanto gli restava della pena da scontare. Secondo il Gip Domenico Truppa, l’ultimo giudice chiamato in causa dagli avvocati Mirna Raschi e Marina Silvia Mori, il conto di Paviglianiti con il carcere era esaurito e per questo dal 18 ottobre del 2019 è stata disposta la liberazione. La seconda dopo quella decretata ad agosto, durata però meno di 48 ore. Per la Procura di Bologna, infatti, la pena terminerà nel 2027 e per questo era stato subito ordinato un nuovo arresto e con la seconda liberazione, è partito un nuovo ricorso in Cassazione a cui si chiede di dirimere la questione. Ora l'arresto a Madrid.

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