La Corte di Cassazione scrive l’ultimo atto della maxinchiesta antidroga “Santa Fe”, l’operazione coordinata dalla Dda di Reggio scattata nel giugno 2015 diventata una delle più importanti di sempre in materia di narcotraffico, con il coinvolgimento anche della Dea americana e della Guardia Civil spagnola. Con la sentenza depositata nei giorni scorsi, la quarta sezione penale ha respinto in blocco 23 ricorsi contro le condanne inflitte in secondo grado a luglio del 2019 dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, che a sua volta aveva sostanzialmente confermato le pronunce del gup di Reggio e del Tribunale di Palmi. «All’esito dei giudizi di merito, le sentenze conformi di primo e secondo grado – scrive la Cassazione – hanno ritenuto accertata l’esistenza di una vasta organizzazione criminosa dedita al traffico di sostanze stupefacenti del tipo cocaina che venivano importate dal Sudamerica, in grandi quantitativi, attraverso vettori navali che assicuravano il trasporto e l’arrivo del carico in diversi porti italiani accuratamente occultato». Un’impalcatura, con responsabilità individuali ormai cristallizzate, che ha retto in pieno al vaglio della Suprema Corte, secondo cui «tutti i ricorsi devono essere rigettati».
L’inchiesta è stata chiamata “Santa Fe” dal nome della città spagnola in Andalusia dov’è stato arrestato il broker calabrese della cocaina Roberto Pannunzi, detto “Bebè”, allora tra i principali narcotrafficanti su scala mondiale. Cinque le tonnellate di stupefacente sequestrate (per un valore di un miliardo di euro) nel corso dell’operazione che ha visto i porti di Gioia Tauro, Genova, Livorno e Vado Ligure snodi centrali per l’entrata in Italia della cocaina.
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