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'Ndrangheta, il giallo: “Giuseppe Nirta non è stato assassinato dalla compagna”

Giuseppe Nirta e Cristina Elena Toma

Giuseppe Nirta non è stato assassinato dalla sua compagna: è quanto stabilito la giuria popolare spagnola che ha assolto Cristina Elena Toma, originaria della Romania, per la quale la procura aveva chiesto una condanna a 21 anni di carcere.
Il tribunale ha ritenuto - riporta La Verdad - che a suo carico non ci sono prove sufficienti. Resta quindi al momento ignota la mano di chi ha sparato la sera del 9 giugno 2017, fuori dalla casa Nirta ad Aguilas, nella Murcia, mentre la coppia stava rientrando a casa.
Ucciso a 52 anni, Giuseppe Nirta aveva precedenti per traffico di droga ed era stato coinvolto nell’operazione Minotauro sulla 'ndrangheta in Piemonte. Originario di San Luca (Reggio Calabria), era fratello di Bruno Nirta, per carabinieri e Dda di Torino al vertice della locale aostana di 'ndrangheta e condannato nel 2021, nel secondo grado del processo Geenna, a 12 anni 7 mesi e 20 giorni.
Sentita in aula mercoledì, Cristina Elena Toma aveva voluto ribadire la sua «innocenza» ("sono povera, ma non sono un’assassina") auspicando che fosse fatta «giustizia» per il suo ex compagno. Le indagini inizialmente puntavano sulla criminalità organizzata (anche la difesa della donna ha indicato malavitosi per i quali è già scattata l’archiviazione) ma si sono poi indirizzate su Cristina Elena Toma quando sui suoi indumenti era stata trovata polvere da sparo.

La precisazione

La famiglia attraverso le parole dell'avvocato Cosimo Albanese sottolinea che la signora Codespoti Teresa da San Luca, madre del defunto Nirta Giuseppe, deceduto in Spagna nel 2019, non ha inteso costituirsi parte civile nel processo secondo la sua volontà originaria, né, tantomeno, fare richieste di risarcimento del danno nel processo penale.

 

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