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Traffici di cocaina al porto di Gioia. Si è pentito il “boss dei van Gogh”

Alla Dda di Napoli (ma è indagato anche a Reggio) i primi verbali del broker Imperiale. Gli affari con i Mammoliti: «Anche la ’ndrangheta acquistava da me». I milioni reinvestiti in lingotti d’oro grazie a un latitante calabrese

Per conto di quali ’ndrine ha lavorato, com’era composta la sua rete in Calabria, chi sono i suoi fedelissimi? Deve rispondere a tante domande, anche alla Dda di Reggio, il superbroker campano Raffaele Imperiale che ha appena avviato un percorso di collaborazione con la Giustizia.

Nei giorni scorsi, durante un’udienza al Tribunale del Riesame di Napoli – al quale hanno fatto ricorso 10 dei 28 destinatari delle misure cautelari emessi nei confronti di presunti appartenenti all’organizzazione facente capo proprio a Imperiale – la Procura di Napoli ha depositato sei verbali, quattro contenenti rivelazioni di Imperiale, uno quelle del suo presunto socio Bruno Carbone e l’ultimo di Raffaele Mauriello, boss del clan Amato-Pagano di Secondigliano.

Dal porto alla porta di Gioia Tauro

Sia Imperiale che Carbone sono indagati anche a Reggio per narcotraffico internazionale, coinvolti nell’operazione sui cosiddetti “portuali infedeli” di Gioia Tauro che, con la presunta complicità persino di un funzionario dell’Agenzia delle Dogane, avrebbero facilitato l’importazione di tonnellate di cocaina dal Sud America.

Un ruolo di primo piano quello svolto da Imperiale, noto come “il boss dei van Gogh” per avere custodito e poi fatto ritrovare due tele del pittore fiammingo rubate al museo di Amsterdam nel 2002; arrestato a Dubai dopo una latitanza dorata, è ritenuto dagli inquirenti uno dei principali narcotrafficanti mondiali. «È sempre al telefono a fare affari», si lamentava in una intercettazione la moglie. Gli affari, però, fruttavano moltissimo, considerato che il gruppo guidato da Imperiale avrebbe inondato di cocaina non solo l’Italia, ma anche numerosi Paesi europei e non, come ad esempio l’Australia.

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