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Sentenza Gotha, i timori del sistema di potere: le trame contro lo scioglimento del Comune di Reggio nel 2002-2003

«Non giova a nessuno, perché criminalizzano una città, tutto un sistema di potere». Fra il 2002 e il 2003, all’avvocato Paolo Romeo l’allora amministrazione comunale guidata da Giuseppe Scopelliti non piaceva di sicuro: avrebbe preferito altre “soluzioni amministrative” dopo la scomparsa di Italo Falcomatà, ma evitare il possibile scioglimento del Comune era comunque un imperativo. Lo spiegano i giudici del Tribunale di Reggio nelle motivazioni della sentenza Gotha, più di 7mila pagine che ricostruiscono fasi delicatissime della storia di Reggio attraverso gli intrecci fra ’ndrine e politica.
«Eterogovernare le amministrazioni della città», comunale e provinciale, sarebbe stato il vero interesse di Romeo, ritenuto con Giorgio De Stefano a capo della “massoneria segreta” che aleggia sul maxiprocesso. L’avvocato ex parlamentare, condannato in primo grado a 25 anni, sarebbe «soggetto appartenente alla massoneria di promanazione della consorteria De Stefano, con il compito di infiltrare i contesti politico-istituzionali e garantire ai De Stefano, e alla ’ndrangheta di Reggio secondo le logiche spartitore convenute in occasione della pax mafiosa al cui raggiungimento pure Romeo aveva dato un contributo rilevante, la percezione dei proventi estorsivi attraverso la garanzia agli imprenditori collusi di aggiudicazione degli appalti pubblici», scrivono i giudici nella sentenza. Tutto ruota intorno alla spartizione di denaro e potere, un progetto costruito da Romeo e soci, secondo i giudici, contando su «politici spregiudicati» e «imprenditori mafiosi mobilitati nel condizionamento del consenso elettorale, con l’impegno a riconoscergli la percezione di importanti risorse finanziarie pubbliche».

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