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Bombe, minacce e l’assenso dei clan di Reggio

Nelle motivazioni del processo Gotha ricostruita la vicenda dell’ex bar Malavenda di Santa Caterina

Il procuratore Giovanni Bombardieri e l’aggiunto Giuseppe Lombardo

Bombe, intimidazioni, mediazioni mafiose, una polizza assicurativa che doveva essere stipulata con la figlia di un presunto boss in cambio di protezione. Anche l'apertura di un bar a Reggio Calabria può trasformarsi in una specie di film di gangster.
La storia si svolge nel quartiere Santa Caterina, in località Ponte della Libertà, il bar in questione è l'ex Malavenda passato due volte di mano nell'arco del 2014. In quell'anno la squadra mobile di Reggio Calabria stava eseguendo parte dell'indagine che da lì a breve sarebbe stata denominata “Sistema Reggio”, confluita insieme ad altre attività investigative nell'operazione Gotha. Durante indagini innescate da due attentati intimidatori ai danni dell'attività commerciale, gli agenti della polizia scoprono cosa si muoveva dietro il passaggio di proprietà del bar e quali azioni erano state intraprese dall'ultimo proprietario per mettersi al sicuro e poter finalmente aprire.
«Il bar in origine – si legge nelle motivazioni di Gotha - era di proprietà dei germani Demetrio e Alessio Malavenda per poi essere ceduto a Nicolò Alessandro e alla zia Martino Annarosa; dopo la cessione si era verificato, l' 11 febbraio 2014, un primo atto intimidatorio che attraverso un ordigno esplosivo aveva danneggiato la vetrina del bar, per cui il proprietario, Nicolò Alessandro, aveva presentato denuncia per il danneggiamento. Successivamente, il primo marzo, si era verificato un altro atto intimidatorio attraverso un ordigno esplosivo... che però non era esploso». A seguito del secondo attentato, secondo quanto emerso dalle indagini, Nicolò avrebbe deciso di cedere a sua volta l'attività commerciale a Carmelo Antonio Nucera. Il passaggio del bar a Nicolò a Nucera segna, secondo quanto emergerebbe dalla indagini, l'inizio del tentativo del nuovo proprietario di coprirsi le spalle. Alla fine della seconda guerra di mafia a Reggio Calabria, in base a quanto riferito anche dai pentiti, il quartiere Santa Caterina era stato diviso al 50% tra i due grandi clan cittadini, i De Stefano-Tegano e i Condello.

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