Sembrano essere diventati introvabili, merce rarissima, nonostante mercato del lavoro nella nostra regione non offra tantissime alternative per chi non ha un’alta formazione scolastica. I calabresi non hanno nessuna voglia di lavorare in campagna e le aziende agricole si trovano, ogni anno, a lottare per riuscire a trovare una manciata di operai che accettino di lavorare nei campi.
Il mondo dell’agricoltura Reggina, così come quello del resto della Calabria, lancia l’allarme poco prima delle grandi campagne di raccolta: servono braccianti e ancor più operai specializzati per portare a compimento la campagna autunnale negli uliveti, negli agrumeti, nei campi di kiwi.
«È un problema che è iniziato a manifestarsi una decina di anni fa, ma adesso ha superato i livelli di guardia». Consuelo Garzo è una imprenditrice agricola di Seminara, nella Piana di Gioia Tauro. La sua azienda, che gestisce insieme alle sue due sorelle, produce un extravergine di oliva di altissima qualità e da anni ormai si trova a combattere contro la penuria di manodopera, soprattutto durante il periodo di raccolta del frutto.
«Credo che il problema - spiega - dipenda molto dal fatto di come è percepito dai più il lavoro in campagna rispetto al passato. Viene visto come qualcosa di degradante e la situazione è andata via via peggiorando con l’introduzione del reddito di cittadinanza. L’anno scorso, giusto per fare capire l’entità del problema, non siamo riusciti a completare la raccolta perché eravamo a corto di operai». L’imprenditrice spiega che lo scorso anno «avevamo operai extracomunitari, che lavorano anche per le aziende agrumicole e quando è iniziata la raccolta degli agrumi ci hanno abbandonato perché lì erano disposti a pagare di più, proprio perché ne avevano assoluto bisogno». La Garzo sottolinea che non è una questione di contratti: «Le persone che impieghiamo sono tutti inquadrati con contratti regolari. La penuria, inoltre, non riguarda solo i braccianti ma anche gli operai specializzati. Questa è una figura difficilissima da trovare e quando li troviamo non riusciamo a farli rimanere per poterli formarli. Le persone della zona – conclude – secondo me sono attratti più dall’indennità che dal lavoro. Il bracciante vuole fare il lavoro solo per il tempo necessario per arrivare alla disoccupazione. Con l’introduzione del reddito, poi, neanche quello e la situazione alla fine è crollata».
È sulla stessa lunghezza d’onda Ezio Pizzi, imprenditore agricolo di Reggio Calabria e presidente del Consorzio per la tutela del bergamotto: «Il problema esiste – sottolinea Pizzi - gli italiani non vogliono fare lavori che considerano umili. E voglio anche sfatare un altro falso mito: il lavoro in campagna non è più duro come una volta, l’introduzione delle macchine in agricoltura ha facilitato di molto il lavoro. La raccolta del bergamotto è manuale, ma non si va più con la cassetta a spalla, ma con il trattore che viaggia accanto».
Pizzi spiega qual è la situazione nella sua azienda. «Buona parte dei nostri dipendenti sono rumeni, poi abbiamo un indiano da 30 anni e un marocchino, gente però che lavora con noi da anni. Un gruppo di lavoro che ho consolidato nel tempo, ma so di molti agricoltori che già da diversi anni hanno difficoltà. Immagini con quale piacere darei lavoro agli italiani, ma i lavori manuali non li vogliono fare».
Un problema che non riguarda solo le grandi aziende agricole, ma che coinvolge anche le piccole realtà che sono costretti a «ricorrere e rincorrere gli stranieri. Questo è il mondo del lavoro in agricoltura, però e poi ci lamentiamo che abbiamo 4 milioni di italiani disoccupati. Ogni lavoro purché onesto è rispettabile». Ogni persona nella mia azienda è regolarizzata, perché è una salvaguardia per ogni imprenditore.
«Nel Consorzio – conclude Pizzi - se ne parla, l’anno scorso ho dovuto mandare qualcuno dei miei dipendenti per aiutare qualche amico che non trovava operai per raccogliere il bergamotto perché in un mercato del lavoro così ridotto quando inizia la raccolta diventa molto difficile trovare forza lavoro. Nel 1996 avevo 48 lavoratori, di cui uno solo indiano. Adesso sono quasi tutti stranieri, abbiamo qualche italiano anziano, i giovani è difficilissimo trovarli. Speriamo che si rendano conto che lavorare non vuol dire solo stare dietro a una scrivania».
Parla Pietro Sirianni, presidente di Coldiretti di Reggio Calabria
Raccoglie le lamentele e le richieste d’aiuto da parte degli imprenditori agricoli ormai da anni. La Coldiretti conosce bene il problema della carenza di manodopera nelle campagne della provincia di Reggio Calabria. Un problema divenuto cronico negli ultimi anni per una serie di circostanze che il presidente Pietro Sirianni definisce «evidenti».
«Il reperimento di braccianti – spiega il presidente di Coldiretti Reggio Calabria - è divenuto difficile, ancora di più lo è trovare operai specializzati, come i potatori, quelli che sappiano fare gli innesti e anche dei trattoristi che siano capaci fare i trattamenti».
Sirianni sottolinea che qualche anno fa «c’era una maggiore disponibilità di manodopera di extracomunitari regolari, ora il numero è calato drasticamente. Alle aziende e alla nostra organizzazione non è sfuggito che la poca manodopera presente nel nostro territorio stia speculando sulla paga sindacale chiedendo di più di quanto è previsto dai contratti degli agricoli. Una situazione che questo si ripercuote sull’aumento del prezzo dei prodotti». Il decreto flussi doveva aiutare le aziende in questo senso facendo entrare manodopera extracomunitaria, «ma – sottolinea Sirianni - la quota è risultata irrisoria rispetto alle reali necessità delle aziende. Da una stima di Coldiretti, tra stranieri e italiani si è registrato un calo del 40% di lavoratori negli ultimi anni. L’effetto più evidente di quel calo è la penuria di lavoratori, soprattutto, nel periodo delle campagne di raccolta».
Davanti a un problema divenuto cronico, aggiunge il presidente di Coldiretti Reggio Calabria, anche fare investimenti per gli imprenditori agricoli diventa un rischio, perché «non hanno la certezza che riusciranno a portare a termine la raccolta. Così diventa difficile firmare contratti di conferimento con le grandi piattaforme, perché quei contratti si devono onorare e se non si riesce a consegnare la merce si va incontro a pesanti penali. Il problema si sta aggravando, mettendo in seria difficoltà il comparto agricolo». Le cause principali per Sirianni sarebbero «alcuni provvedimenti emanati dal governo nazionale. Il reddito di cittadinanza si è rivelato poco incisivo perché non ha di certo aiutato le aziende e dall’altro, in molti casi ha portato una sorta di “ricatto illegale” di alcuni soggetti poco onesti che si presentavano chiedendo di essere assunti in nero per poter continuare a intascare il reddito di cittadinanza. Non abbiamo dati certi ma dai racconti degli associati questo è il quadro che siamo riusciti a ricostruire».
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