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I vescovi calabresi “vicini” agli agricoltori bocciano l’autonomia differenziata

La Conferenza episcopale calabra mette in mora la politica su due temi spinosi. E il Pd rilancia. «Sulle politiche Ue è in gioco anche il futuro della Calabria. Il ddl appena approvato al Senato mina il principio di unità»

Dalla preoccupazione per le conseguenze dell’autonomia differenziata alla solidarietà agli agricoltori in protesta, passando per le questioni più interne (ma neanche tanto) del rilancio del cammino sinodale e della riorganizzazione dell’Istituto teologico calabro. La Conferenza episcopale calabra, presieduta dall’arcivescovo di Reggio Calabria – Bova, Fortunato Morrone, si è riunita per la sessione invernale nel Seminario arcivescovile “Pio XI”. In riva allo Stretto sono stati due giorni di full immersion, in concomitanza con l’apertura dell’anno giudiziario 2024 del Tribunale ecclesiastico interdiocesano calabro (Teic) e del Tribunale ecclesiastico interdiocesano calabro d’appello (Teica).

Volti nuovi anche al vertice

La prolusione è stata tenuta da monsignor Francesco Viscome, presbitero calabrese e prelato uditore del Tribunale apostolico della Rota Romana. Subito dopo i vescovi della Calabria hanno accolto mons. Giuseppe Alberti, nuovo vescovo di Oppido-Palmi, che per la prima volta ha partecipato ala Cec, ed eletto l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Claudio Maniago, quale nuovo vicepresidente.

I dubbi “orwelliani”

Durante i due giorni di lavori i presuli calabresi «hanno riflettuto sulla situazione attuale ed espresso grande preoccupazione per il disegno di legge sull’autonomia differenziata, approvato in Senato nei giorni scorsi», riferisce la stessa Cec. Il messaggio dei vescovi calabresi alla politica è chiarissimo: «Il provvedimento, che trasferisce alcune funzioni agli Enti locali, rischia di diventare motivo di ulteriore divario tra Sud e Nord, tra aree sviluppate e regioni più povere, minando il principio di unità e solidarietà e compromettendo il diritto alla salute, all’istruzione e l’accesso ai servizi essenziali che lo Stato dovrebbe garantire in forma eguale a tutti i cittadini. La determinazione dei Livelli essenziali di prestazione (Lep), prevista dal disegno di legge, ricorda l’esperienza fallimentare dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) che, come è facilmente riscontrabile, non hanno assicurato un’uniformità del Servizio sanitario nazionale. Queste misure, invece, vengono presentate come utili soltanto per giustificare una formale uguaglianza di trattamento, ma in verità coprono una inaccettabile disparità che ricorda la famosa espressione orwelliana: “Alcuni sono più uguali degli altri”».

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