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Reggio, vite “appese” a un piano terapeutico

La malattia è sempre lotta, ancor più se il paziente ha bisogno di farmaci particolari

Vive ogni giorno con il terrore che la pelle si possa aprire e sanguinare come prima. Teme di ritornare al passato. Tutta colpa, purtroppo, dell’impossibilità di avere un piano terapeutico che le consenta di ritirare il farmaco biologico. A raccontare la storia di Antonia (nome di fantasia) è la sorella, Giancarla Tigani. Ci mette nome e cognome nella lettera che scrive a Gazzetta del Sud senza esitazione alcuna.
«Provo vergogna - scrive -, ma non ho paura di espormi perché non posso permettere che una fredda burocrazia faccia scatenare a mia sorella la grave patologia di cui soffre. Chiedo al presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto di intervenire perché troppo silenzio c’è stato e per troppi mesi, mentre sono avanzate promesse senza nessun risultato». Con sentimenti di amarezza precisa che la sorella si trova a lottare «per una cosa assurda: avere un piano terapeutico che ad oggi nessuno può compilare mentre la malattia avanza».
Antonia non è in grado di uscire di casa. Avrebbe bisogno della solita visita domiciliare. Adesso, il DCA n. 36 della Regione Calabria lo vieta così i medici specialisti convenzionati degli ambulatori territoriali non possono farla. Rimane la strada dell’ospedale. Oppure, se fortunati, trovare negli ambulatori territoriali i medici dipendenti la cui percentuale è bassissima. Questi sì, possono prescrivere il piano. I convenzionati no. Come se di colpo, questi ultimi, non fossero più medici. Una vera assurdità anzi, «una vergogna - come dice la signora Giancarla - perché non è ammissibile che un medico può prescrivere perché è dipendente e l’altro no perché è convenzionato».

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