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La droga nella Piana di Gioia Tauro viaggiava su Telegram: 18 arresti nell'operazione “Perseverant” I NOMI

Le indagini sono scattate nel 2020, dopo la denuncia di un padre impotente di fronte alla dipendenza della figlia. Fondamentale il ritrovamento di una piantagione di canapa indiana nascosta in un bunker

Domanda e offerta di droghe leggere e pesanti s'incontravano su Telegram e altre app di messaggistica nella piana di Gioia Tauro, dove i carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria hanno eseguito 18 arresti (9 in carcere e 9 ai domiciliari) per stroncare una florida attività di spaccio che neppure le restrizioni per il Covid avevano interrotto.

I nomi

In carcere:
Raffaele Cambria
, 14-11-1991 Polistena
Alessandro Caruso, 26-5-2000 Polistena
Francesco Demari, 4-7-1991, Polistena
Antonio Larosa, 19-6-1982, Taurianova
Giuseppe Larosa, 15-4-1978, Taurianova
Giuseppe Mammone, 16-1-1988, Taurianova
Salvatore Nasso, 2-12-1967, Taurianova
Antonio Perre, 23-5-1993, Locri
Marco Recupero, 2-8-1986, Taurianova

Ai domiciliari:
Rosario Capogreco
,  7-1-2000, Polistena
Gaetano Catania, 9-8-1986, Cinquefrondi
Rocco Ciurleo, 18-11-1980, Rosarno
Giuseppe Franchetti, 20-6-2001, Polistena
Michele Gangemi, 3-6-1969, Taurianova
Carmelo Garruzzo, 1-5-1979, Vibo Valentia
Sebastian Ionut Gutuman, 9-1-2001, Romania
Marius Ichim; 13-8-2000, Romania
Fiorenzo Lo Iacono, 29-7-1988, Tropea

Un giro d'affari milionario

Un giro d’affari stimati in oltre 1 un milione di euro, ora fermato dall’operazione 'Perseverant'. Fra Taurianova e Rosarno, durante la pandemia, i pusher avevano sostituito le auto con le biciclette per consegnare le dosi a domicilio. Gli indagati risultano coinvolti in almeno una cinquantina di fatti di rilievo penale.

La denuncia di un padre fece scattare le indagini

Le indagini della procura di Palmi, coordinate dal procuratore Emanuele Crescenti e dal sostituto Davide Lucisano, sono cominciate nel marzo 2020 dopo la denuncia del padre di una consumatrice di droga che, impotente di fronte alla dipendenza della figlia, si era rivolto ai carabinieri della stazione di Taurianova. Proprio qui aveva base l’attività di spaccio, con ramificazioni a Rosarno, Platì e Gerocarne, dove, invece, risiedevano i fornitori dello stupefacente.

Ordini online e consegne a domicilio durante la pandemia

L’attività illecita dunque non veniva interrotta neanche durante la pandemia Covid, le cui restrizioni venivano ampiamente aggirate dagli indagati che, per ridurre il rischio dei controlli, avevano messo da parte le autovetture ed avevano iniziato a consegnare lo stupefacente in bicicletta, direttamente presso le abitazioni degli acquirenti. Per mantenere i contatti con questi ultimi, visto il divieto di assembramento, tutte le comunicazioni venivano effettuate online, con canali Telegram, o di altre applicazioni di messaggistica, dedicati proprio ad accordare la domanda e l’offerta di narcotico.

La droga arrivava anche dall'estero

Sulla base degli elementi di prova così raccolti, secondo l’ipotesi d’accusa sposata dal GIP di Palmi che ha firmato l’ordinanza cautelare, si ritiene che gli indagati, grazie a fonti di approvvigionamento sul territorio nazionale e all’estero, siano coinvolti almeno una cinquantina di eventi delittuosi.
A incidere sulle valutazioni effettuate dal Gip di Palmi in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico degli arrestati è stato il valore probatorio dei numerosi recuperi di varie sostanze stupefacenti, in primis cocaina e marijuana, realizzati dagli investigatori.

La piantagione nel bunker

In particolare, il Giudice ha ritenuto di fondamentale importanza il rinvenimento di una piantagione di canapa indiana, ricavata in un bunker occultato da un capannone agricolo. Lì, tre metri sotto il terreno, gli indagati avevano meticolosamente allestito degli impianti idroponici, completi di sistemi di riscaldamento, ventilazione e illuminazione a lampade UV, destinati alla gestione di varie cultivar di canapa indiana, differenziate per il potenziale tossicomanigeno. In assenza dell’intervento dei militari dell’Arma, lo stupefacente, lavorato in dosi, avrebbe permesso agli indagati di ricavare utili non inferiore a 200.000 euro.

Luce su una storia di violenza

L’indagine, da ultimo, ha fatto luce anche sui maltrattamenti che la moglie e la figlia di uno degli arrestati hanno dovuto per anni subire in silenzio. Rese incapaci di denunciare, costrette a vivere secluse, quotidianamente umiliate e più volte malmenate, le due donne sono state ora soccorse dai Carabinieri e sottratte a questa dolorosa e avvilente convivenza.

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