È una giornata di sole e anche se l’aria è ancora fresca il cielo è terso sopra lo Stretto di Messina. Sul lungomare mamme con i loro bambini, gente che fa sport, anziani che passeggiano. Aldo Sottilaro scruta il mare con aria meditabonda. Ha già vissuto la «follia» di governi che volevano mettere un ponte tra le due sponde dello Stretto. Non ci crede fino in fondo neanche questa volta che l’opera si farà. Forse non vuole crederlo, perché nel computo degli immobili da abbattere per fare posto ai piloni della grande infrastruttura ci sono la sua casa e una delle sue attività commerciali. Entrambe sul lungomare. È uno dei famosi espropriati che dovranno lasciare case e attività commerciali per fare spazio ai cantieri e all’opera.
«Ancora non sappiamo niente - racconta l’imprenditore villese - non abbiamo avuto nessuna informazione relativa agli indennizzi, tutto quello che si dovrà fare per essere risarciti. Io penso, però, che non ci risarciranno mai del danno che stanno per perpetrare agli imprenditori come me che, negli ultimi 50 anni, hanno investito e lavorato duramente sul territorio per costruire tutto quello che si vede oggi in questa città».
Aldo Sottilaro, storico proprietario del ristorante Boccaccio, è un’istituzione a Villa San Giovanni. La statua che immortala suo padre, mentre di vedetta punta un pesce spada immaginario con lo sguardo rivolto al mare, campeggia nella piazzetta al centro del lungomare di Cannitello, a poche centinaia di metri dal suo ristorante.
«Con la mia famiglia hanno fatto strike - dice amareggiato - abitazione e attività. Io ho un’età che non mi consente di vederlo il ponte. Aldilà degli indennizzi, io sono costretto a vivere in un limbo da diversi anni, mi sento come uno zombi, non so più come muovermi o progettare il futuro per me e i miei figli».
Sottilaro ha dovuto già chiudere una delle sue attività commerciali, un albergo che sorge sul lungomare. «Perché - spiega - gli ospiti (soprattutto del Nord Italia) venivano qui perché amano questo posto per la sua bellezze e la “verginità ambientale”, ma momento in cui la società Stretto di Messina e gli organi di informazione parlano dell’imminente apertura dei cantieri, i turisti perché dovrebbero decidere di venire qui in vacanza, per mangiare la polvere? Non avevo più prenotazioni e ho deciso di chiudere».
Un altro punto dolente, del quale si dibatte in città, è il presunto sviluppo che il ponte dovrebbe portare. «Mah - chiosa polemico l’imprenditore - nessuno ci ha ancora spiegato cosa voglia dire. E io non credo neanche nell’indotto: quei quattromila lavoratori che arriveranno a Villa staranno nei campi base che la Società Stretto farà costruire e da lì non usciranno».
In una villetta sul lungomare con vista Stretto vive pure Giovanni Calabrò. Ci riceve nel suo studio al pianterreno. «Stiamo parlando delle nostre case - dice con un sorriso amareggiato - c’è gente che qui vive da una vita, io per esempio dal 1990. Per me andarmene e trovare un posto come questo è pressoché impossibile. L’affaccio sullo Stretto non aumenta il valore dell’immobile, ma comunque quello che subisce l’espropriato è un danno emotivo, interiore, all’anima, chiamiamolo così. Ci stai male, io la mattina apro le finestre e vedo lo Stretto, che ogni giorno è diverso. Questa bellezza fa parte di noi e della nostra anima e che ci verrà tolta e ci mancherà sicuramente. Ci portano via di qua, dove ce ne andiamo?».
Un altro tipo di problema riguarda chi ha sta pagando ancora un mutuo. «A questa gente - sottolinea Calabrò - mancherà la garanzia della banca e la banca vorrà restituita i soldi; chi ha un’attività commerciale in affitto, non essendo proprietario dell’immobile, non percepirà niente. Se veramente partissero i lavori immagino la mia città devastata e divisa, un cantiere che dovrebbe stare aperto circa 10 anni. Ecredo anche poco alle opere complementari, ne abbiamo un esempio nella variante del tratto ferroviario proprio qui vicino, dove nel 2011 era stata messa la prima pietra, alla presenza di Ciucci. Dovevano fare un giardino e non so che altro e, invece, ci hanno lasciato un’opera incompleta, uno scempio».
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