La Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria ha concesso gli arresti domiciliari a Francesco Sfara, con applicazione del braccialetto elettronico, accogliendo l’istanza presentata dall’avv. Antonio Ricupero, difensore del 26enne di Marina di Gioiosa, condannato in secondo grado a 23 anni di reclusione, nell’ambito del processo per l’omicidio di Vincenzo Cordì, assassinato la sera dell’11 novembre 2019 in località “Scialata” di San Giovanni di Gerace, per il quale sono stati condannati all’ergastolo Susanna Brescia e Giuseppe Menniti.
Il difensore ha avanzato richiesta di misura alternativa premettendo che il proprio assistito sia «consapevole della gravità dei fatti contestati per come confermati nella sentenza di appello», di cui peraltro ancora non sono note le motivazioni. L’avvocato Ricupero ha poi evidenziato che l’avvenuto riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche all’esito del giudizio di primo grado «nonché il lungo stato custodiale sinora sofferto, potrebbe portare ad un riesame delle esigenze cautelari rispetto a quelle inizialmente prospettate, quanto meno rivalutando il periculum di reiterazione del reato considerato il naturale affievolimento delle stesse rispetto al decorso del tempo rispetto ai fatti contestati».
Il penalista ha, inoltre, aggiunto: «D’altronde, è conforme allo spirito delle norme in materia cautelare la circostanza che il processo di graduale superamento dei fattori criminogeni e della conseguente pericolosità sociale da parte dell’imputato – incensurato – venga accompagnato da misure cautelari via via attenuate durante le quali si possa attuare la reale intenzione dello stesso di impostare il proprio futuro comportamento nel rispetto della legalità e dei valori tutelati dal nostro ordinamento».
Sulla scorta delle argomentazioni difensive, i giudici della prima sezione penale hanno rilevato che l’imputato ha scontato 4 anni e 9 mesi di reclusione, che non si può configurare alcun pericolo di inquinamento probatorio, stante l’avvenuta sentenza d’appello, inoltre non si può ritenere sussistente «un concreto pericolo di fuga», posto che «il delitto è maturato in ambito strettamente personale e familiare ed altresì poiché non risulta che lo Sfara appartenga a contesti criminali che potrebbero proteggere la sua latitanza».
I magistrati reggini sul pericolo di recidiva scrivono: «Pur non sminuendosi certamente la particolare gravità delle condotte ascritte (lo Sfara ha concorso con la madre e il suo amante all’uccisione del precedente compagno della donna), la custodia cautelare sin qui sofferta appare certamente significativa e meritevole di essere considerata, soprattutto alla luce della giovanissima età attuale dell’istante e di quella ancora più giovane dello stesso al momento del fatto».
In definitiva, per giudici del secondo grado, la misura degli arresti domiciliari con l’ausilio del “braccialetto elettronico «consente di formulare ulteriormente una prognosi favorevole in ordine alla futura condotta dell’istante, sicché essa si appalesa pienamente rispondente ad una funzione rieducativa e funzionale al rispetto delle esigenze cautelari sussistenti».
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