Già nei primi verbali Ficarra rimarca la sua appartenenza alla cosca Molè di Gioia Tauro, posizione occupata prima di lui anche da altri membri della sua famiglia, ma di non essere stato mai battezzato. «La famiglia Ficarra - sottolinea - è sempre stata con i Molè».
Altro passaggio interessante nei primi verbali è la discussione con i magistrati che lo stanno interrogando circa l’esistenza di un presunto «doppio livello della ‘ndrangheta».
Alla conduzione degli interrogatori si alternano il procuratore dell’epoca di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, il suo aggiunto Gaetano Calogero Paci e il sostituto procuratore di Milano Paola D’Ambrosio. «Dottore – spiega il pentito – per me per persone anche di un certo livello che fa parte della ‘ndrangheta non ha mai avuto un battezzo, ‘ste cose qua…
Quelli che valgono di meno, che contano poco, che ancora sono rimasti col capretto e con la mangiata fanno queste cose qua, il battezzo… eh le famiglie di un certo livello, come Piromalli, come Molè, come Pesce e Bellocco, i capi veri che ho frequentato io non hanno, in questo ultimo periodo, le nuove gerarchie, le nuove leve, non usano questa cosa qua».
Ficarra passa poi a parlare di «due gerarchie» all’interno della ‘ndrangheta «tipo la massoneria, no? So che esisteva anche un “livello riservato della ‘ndrangheta. Ecco, io sapevo che Rocco Molè, per esempio, era un massone, era una persona di alto livello. aveva rapporti con la massoneria, eh… quelle erano cose di alto livello che non poteva sapere nessuno, no? Per esempio tramite queste cose qua Rocco Molè faceva trovare delle armi a volte a dei funzionari che erano a disposizione… Sapete cosa faceva? Metteva le armi, tipo… dieci… cinque pistole… faceva la chiamata anonima lui e faceva trovare, tipo, queste armi alla polizia o ai carabinieri a Gioia Tauro e avevano… e questo Rocco Molè è successo dottore che nel 2007, mi ricordo benissimo, sì… Rocco Molè ebbe dei permessi per andare a Roma».
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