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“L’onesto fantasma”, quando i legami vanno oltre il tempo. Con Tognazzi stasera a Polistena

Quattro amici, una mancanza, tanti ricordi condivisi e gli anni trascorsi che hanno diversificato percorsi, obiettivi e ideali, tranne un sentimento forte e prezioso che li unisce ancora. Questi ed altri i contenuti de “L’onesto fantasma”, pièce scritta e diretta da Edoardo Erba con la produzione di Altra Scena, oggi all’Auditorium Comunale di Polistena (RC) (alle 21) nell’ambito della rassegna “Il Teatro in Tutti i Sensi”, curata da Dracma - Centro Sperimentale d’Arti Sceniche. Un testo dolceamaro sui legami affettivi e la loro forza di andare oltre il tempo; ma anche sulla valenza del teatro come luogo in cui tutto si ricompone, accogliendo dolori e gioie su nuovi copioni da recitare ancora.

Protagonisti della storia gli attori Costa (Fausto Sciarappa) e Tito (Renato Marchetti), che intendono riformare un vecchio sodalizio artistico con Gallo (Gian Marco Tognazzi) per una rappresentazione dell’«Amleto» in cui assegnare la parte del fantasma all’amico scomparso Nobruc (Bruno Armando, scomparso nel 2020, nello spettacolo presente in video).

La storia pesca dalla realtà, da un rapporto speciale fra quattro amici, rimasti in tre, dopo la morte di uno di loro. Un’assenza che sembra sgretolare il sodalizio inossidabile basato sulla comune passione per la recitazione. Tornare in scena senza l’amico sembra non avere senso, finché accade qualcosa di straordinario che, ricompattando i legami, dà loro una seconda possibilità. «Il testo è stato scritto da Edoardo Erba che era come me amico fraterno di Bruno, colonna portante di una ditta andata avanti per 14 anni – racconta Tognazzi –. Il connubio tra me e lui era simbiotico. Eravamo una compagnia atipica e molto coesa, per cui nel momento in cui è piombata la sua assenza ho avvertito un’incapacità a riprendere il teatro. Avevo detto a Edoardo che sarei tornato solo e unicamente con Bruno, e lui ha fatto il miracolo scrivendo questo testo meraviglioso che parla anche di Fausto e Renato. Eravamo un quartetto in cui l’amicizia, la convivenza in teatro, la vita di compagnia erano un tutt’uno; ma era necessario trovare una formula di racconto specifica e dal sapore universale, applicabile ad altri come noi, con il discorso dell’assenza in primo piano. C’è stata una reale difficoltà a reperire il modo per tornare noi tre a recitare assieme».

La formula alla fine è stata individuata nell’«Amleto» di Shakespeare.
«Il colpo di genio di Edoardo è stato proprio quello di trovare nell’«Amleto» dei parallelismi con la nostra vicenda, legati alla presenza del fantasma: quello di Bruno che aleggia su di noi. Torniamo così in scena e io ho l’opportunità di mantenere la promessa fatta a Bruno di recitare ancora con lui, in uno spettacolo che diventa una storia universale sull’amicizia, sulle differenze all’interno del nostro mestiere; persino sul “non detto”, sul fatto che a un certo punto nell’amicizia come in tutti i rapporti importanti bisogna dirsi tutto, sino in fondo, per riuscire a mantenere il legame o ripartire. È stato fondamentale per la mia vita e spero per tutti coloro che sapranno identificarsi».

Questa versione teatrale di te stesso che caratteristiche ha?
«Gallo è quello che ha avuto la fortuna di farcela ed ha meno esigenza di tornare in teatro. Lui come gli altri personaggi rappresenta il tempo che è passato cambiando gli equilibri: presente, passato e futuro fanno i conti con le diversità reciproche e le esigenze contrastanti di ciascuno, sino all’epilogo».

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