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La Calabria “rifugio” e crocevia nel prossimo libro dello scrittore reggino Criaco

«C’è una retorica eccessiva e inutile sul fatto se sia più eroe chi resta o chi va via. Bisogna spiegare perché si parte»

Gioacchino Criaco

«La partenza è diventata quasi un dogma e questo è terribile: non possiamo nascere in un posto per essere vita, per poi votarci alla morte. È necessario costruire la scelta e cercare di capire perché si parte».
Lo scrittore reggino Gioacchino Criaco anticipa che sarà questa la tematica sulla quale verterà il suo nuovo libro, in uscita il prossimo anno. «Affronto la creazione e il consolidamento del meccanismo della partenza – spiega – che non è legato quasi mai a ragioni effettive, ma è diventato automatico. Vado indietro nel tempo e cerco di capire come si è formato. Nessuno si fa più domande, si parte e basta. C’è chi lo fa per motivi sanitari, chi per motivi di studio. Ma la Calabria vanta grandi eccellenze in campo medico e la nostra Università non è seconda a nessuna. C’è una retorica eccessiva e inutile sul fatto se sia più eroe chi resta o chi va via. Bisogna smontare questo meccanismo e spiegare punto per punto il perché si parte».

Criaco, che ha esordito nel 2008 con il romanzo “Anime nere” - da cui è stato tratto il film omonimo diretto da Francesco Munzi, vincitore di nove David di Donatello e di tre Nastri d’argento -, tiene a precisare che il suo è un progetto culturale, suddiviso in tanti capitoli, molti dei quali sono già stati scritti, iniziato con la stesura del suo primo libro. «“Anime nere” è nato dopo tanti dibattiti e confronti con innumerevoli persone che, come me, hanno fatto l’esperienza di lasciare la Calabria. Tutte perfettamente inserite nella società nella quale adesso vivono, ma che hanno mantenuto un amore enorme per la propria terra e che hanno raggiunto la consapevolezza che il torto più grande fatto a noi calabresi è la decostruzione del nostro sapere».

Un sapere che va assolutamente recuperato. «Senza un patrimonio di conoscenze – prosegue - di tutto ciò che si dice riguardo al futuro della Calabria, rimarranno soltanto chiacchiere. Se non riusciamo a ricostruire il nostro sapere millenario, il patrimonio conoscitivo della nostra cultura, non avremo lo strumento per andare avanti. E continueremo a essere una società che si considera subalterna rispetto ad altre culture, un processo di deriva dei nostri sentimenti che ci porterà a un disamore per la nostra terra».

Il mondo di riferimento di Criaco resta sempre la Calabria. «Ma non come elemento marginale – puntualizza - bensì quasi come pianeta che sta dentro un mondo più complesso. Il senso del meno che ci è stato inculcato ci convince che tutto ciò che riguarda la Calabria sia qualcosa di localistico, ma non è così. Chiunque scrive lo fa riferendosi a un luogo. E non ci sono luoghi più universali rispetto ad altri. Sono i contenuti che li rendono tali».

La Calabria, per lo scrittore di Africo, è la grande Madre terra mediterranea: «Anche se il suo nome avrebbe dovuto essere “Rifugio”, perché tale è stata per tantissimo tempo – continua - un posto senza porte e senza finestre, crocevia di culture diverse. Greco, arabo, armeno, albanese, normanno: noi siamo tutti i popoli del mondo, un universo complesso che, negli ultimi anni, vive una condizione di autoemarginazione a causa della mancanza di un tessuto culturale che ci dia coscienza. Ci consideriamo abitanti di un angolo periferico dell’impero, ma questa è una concezione mentale e culturale piuttosto che reale. Ai ragazzi va insegnato che siamo alla pari con gli altri e che dobbiamo volere bene alla nostra terra. Perché non è brutta, l’hanno abbrutita. È un mondo che ha dignità, come tutti gli altri. E il nostro dovere è costruire al suo interno il massimo della felicità possibile. Poi, chi vorrà andare via lo farà, ma non perché qui non si è provato a costruirla, ma perché vuole trovarla altrove. Chi sta qui, deve mettercela tutta».

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