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Rocco Morabito, una vita in fuga. La ricostruzione della latitanza di Tamunga

Da Africo al Sudamerica... e ritorno Con la clamorosa fuga dal Carcel Central di Montevideo nel 2019 si è attivata la “rete” di supporto della famiglia calabrese. E intanto il business andava avanti, tra coca e armi

Prima il Paraguay, poi il Perù forse grazie a un’imbarcazione clandestina, quindi il Brasile dove avrebbe «più volte cambiato abitazione». Emergono particolari inediti sulla latitanza del superbroker della cocaina Rocco Morabito, clamorosamente scappato dai tetti del “Carcel Central” di Montevideo, in Uruguay, il 23 giugno del 2019, e arrestato il 24 maggio del 2021 in un lussuoso residence della città costiera di Joao Pessoa, in Brasile. Due anni di fuga – che si sommano a un’altra precedente lunghissima latitanza interrotta dopo 23 anni a Punta del Este, in Uruguay – ai quali ha dato un importante appoggio la famiglia, mentre lui, “U Tamunga”, continuava a gestire gli affari in Sudamerica, tra produttori di coca, finanziatori e complici al porto di Gioia Tauro.

Chat criptate e armi sovietiche

Sono state le chat “SkyEcc”, decriptate e acquisite dalla Dda di Reggio con Ordini europei di indagine, a mettere alcuni tasselli nel mosaico. E mentre in Uruguay gli inquirenti sono ancora al lavoro per individuare chi e in chi misura ha aiutato Morabito a fuggire dal carcere, in riva allo Stretto si scopre attraverso l’indagine Eureka che “Tamunga” «si procurava documenti d’identità falsi anche col supporto dei suoi familiari in Italia, da cui riceveva costante supporto economico e logistico». È risultato che, poco dopo l’evasione dal carcere di Montevideo, Morabito già disponeva di appoggi (non completamente disvelati dalle indagini), soldi e telefoni criptati, mezzi con i quali avrebbe provveduto immediatamente a riorganizzare la propria attività di narcotraffico, come emergerebbe dalla contestata importazione di 200 kg di cocaina nel porto di Gioia dopo appena tre mesi, nel settembre 2019, all’interno di un container di prodotti congelati.
Secondo un’informativa dei carabinieri di Locri di fine 2022, fra l’altro, nel corso dell’ultima latitanza Morabito avrebbe gestito «un’imponente attività di narcotraffico dal Sud America all'Europa in forma associata, nonché quantomeno un'operazione di traffico di armi da guerra dall'Europa/Asia al Sud America destinate a guerriglieri e gruppi paramilitari collegati con cartelli di narcotrafficanti». “Tamunga”, insieme ai fidati e coindagati a Pietro Fotia e Francesco Gligora, avrebbe infatti messo in piedi «una spedizione in Brasile di un container carico di armi da guerra, provenienti dai Paesi dell'ex Unione Sovietica, fornite da un’organizzazione criminale operante in Italia e Pakistan». Tutto ciò persino da latitante, grazie alla capacità – emersa anche dalle più recenti indagini – di «muoversi abilmente nel contesto del narcotraffico sudamericano, riuscendo a sfuggire alle ricerche delle forze di polizia ed intrattenendo rapporti con le organizzazioni locali, collegate a gruppi paramilitari dediti contestualmente a ingenti traffici di stupefacenti».

Viva la famiglia

Nelle chat coi parenti, Rocco Morabito avrebbe usato più nickname che richiamerebbero al tema della fuga: I’ll ritorno, I’ll ritorno zio, I’ll ritorno Melek, oltre a Francisco e Cartier. E sarebbero stati proprio loro, i familiari, a supportarlo. A partire dai nipoti Carmelo, figlio della sorella Antonia, contattato appena quattro giorni dopo l’evasione e pronto a fornire informazioni sulla moglie («L’ho sentita bene zio..») e a volare personalmente in Uruguay forse per dare supporto logistico e certamente per mettere in contatto il fuggitivo con un avvocato, e Francesco Sculli, solerte nel fornire le sue foto destinate a un documento falso per lo zio. Stando alle accuse della Dda, Carmelo avrebbe anche fatto pervenire in Uruguay «tramite terze persone», una somma di denaro, e pagato 1.100 euro per fornire un telefono criptato a Rocco Morabito». Le foto di Sculli sarebbero arrivate ai falsificatori tramite Domenico Bruzzaniti e Pietro Fotia, “giro” ripetuto in senso inverso per la presunta consegna finale della carta d’identità falsa a Rocco Morabito, che sarebbe avvenuta dall’Italia al Brasile grazie a Giovanni Falzea (consegna non accertata dagli inquirenti a causa dell’interruzione della chat pochi giorni prima dell’incontro).

I soldi in Brasile

Di mezzo c’è anche un tale, “il prof”, non identificato, che a sua volta avrebbe ricevuto in Brasile tramite Rosario Falzea, «su indicazione di Carmelo Morabito», la somma di 30mila euro: 20mila li avrebbe tenuti per sé per il rimborso parziale di un credito maturato per traffici di stupefacenti, 10mila li avrebbe invece consegnati a Rocco Morabito a Florianopolis, in Brasile, il 24 febbraio del 2021.

Il naso di “Caramba”

Sarebbe stato direttamente Rocco Morabito, da latitante, a suggerire di usare l'immagine di qualcuno che gli assomigliasse per la carta d’identità falsa. E il nipote Carmelo si sarebbe attivava in tal senso. «Tu per caso ai foto mia? Per fare documento… No? Neanche foto vecchie, io niente forse vedo da mia madre se ha qualcuna anche di mastrazzolo k aveva tua carta identità. No molto vecchia, una foto di qualcuno che mi rassomiglia. Mattino vado a investigare x trovare». L’idea risolutiva viene a Carmelo con una foto “Caramba”, poi identificato in Francesco Sculli: «Caramba e buona?? Se mai??». Rocco Morabito acconsente, a patto che ne venga modificato il naso con il computer: «Problema è il naso, che facciamo un abbassare del naso per il computer». E qui entra in campo il falsificatore: resta solo da trovare una persona che consegni la sua carta d’identità originale su cui sostituire solo la foto. Un gioco da ragazzi, per loro.

Dalla Russia con… rispetto

Carmelo Morabito è sospettato anche di avere ricompensato con 5mila euro una coppia russa «per aver dato ospitalità» a “Tamunga” subito dopo l’evasione e «averlo aiutato ad allontanarsi da Montevideo». Pare che ci sia stata l’idea di una compensazione con un orologio: «Io gli compro qua un Rolex di 5000 euro e siamo pari», si legge in una chat. I due, soci di un ristorante italiano a Montevideo, sono stati poi tratti in arresto dalle autorità uruguayane. L’uomo, in particolare, ha ammesso parzialmente i fatti, dicendo che gli evasi (Morabito non fuggì da solo) «si erano recati presso il suo locale, fino al giorno dopo in cui avrebbe accompagnato Morabito con la propria autovettura al centro commerciale di Punta Carrettas, dove lo lasciava per diversi minuti all'interno della macchina parcheggiata, senza ritrovarlo al suo ritorno». Lo stesso Carmelo Morabito dimostrerebbe consapevolezza, in almeno una chat, del ruolo dei due russi: «Ma ha provveduto già x i soldi x Sergey? Hanno dato favoreggiamento...».

Il “Cavalo de Troia”

«Ti hanno portato i soldi? Te li ho spediti grazie al parente dell’Africa», scrive Carmelo in una chat decriptata dagli inquirenti e “letta” nel senso di «voler favorire la latitanza dello zio, tenuto conto della sua condizione di soggetto appena evaso in un Paese straniero, dunque certamente bisognoso di mezzi per mantenersi e nascondersi agli inquirenti». Tra fine giugno e i primi di luglio del 2019, Carmelo e lo zio discutono anche dell’ipotesi, «avanzata – annota la Dda – da alcune persone originarie di Platì, ma di stanza in Sudamerica» di cui il primo aveva fornito il contatto “Cavalo de Troia”, relativa alla possibilità di far spostare Rocco Morabito in Paraguay, dove queste persone avrebbero avuto la possibilità di ospitarlo. «Vedi pure se vuoi k ti vengono a prendere amici dei platioti x stare con loro k hanno tutto... mandano aereo dicono... Sono pure nel Paraguay». Aerei, documenti falsi, soldi: una “rete” in piena regola che avrebbe permesso due anni di spostamenti più o meno sicuri tra i Paesi del Sudamerica.

Serbo, kazako o francese?

Un’altra pista porta fino in Serbia. Ad un certo punto della latitanza, Carmelo Morabito scrive allo zio per dirgli che aveva parlato con un tale Nicola, il quale «gli aveva detto che i suoi paesani serbi, evidentemente le persone a cui si erano rivolti per preparare documenti falsi, erano stati arrestati e che, se necessario, potevano provare a farli ugualmente, anche se non era proprio tanto sicuro della buona riuscita». Il problema del passaporto serbo sarebbe stato, però, che Rocco non conosceva la lingua. Valeva la pena comunque, secondo “Tamunga”, di informarsi: «Vediamo k ci dicono e casomai certo, prendo zio e lo porto a farli». Ma «nn sai lingua è un casino», avvisa il nipote preoccupato. Scartata subito da Rocco, invece, l’idea del passaporto del Kazakistan: «Mi avevano proposto passaporto del kazakistan, però per te non va bene», sentenzia Carmelo. E a sorpresa, tirata fuori da Fotia, ecco che spunta una terza strada: «Vedi che mi hanno detto amici Marsiglia che documenti francesi non ci sono problemi A loro li incontrerò dopo il 3. Ho mandato a dire se ci sono, mi hanno detto di sì. Quello solo per passaporto fammi parlare e poi vediamo. Anche Milano mi hanno detto che me li fanno dei pakistani carta d’identità e patente ultima Mi hanno detto Milano codice fiscale carta e patente con poco ce. Tu procura foto. Almeno abbiamo tre strade diverse. Francesi milanesi e Napoli Sono tutte persone diverse».

Moglie e figlia

Carmelo Morabito sarebbe intervenuto anche quando Rocco pare stesse per incontrare da latitante moglie e figlia in Sudamerica. «Carmelo – ricostruiscono gli investigatori reggini – diceva che le avrebbe chiamate e che anche il giorno prima le aveva sentite. Poi si preoccupava di mettere in guardia suo zio». Meglio essere guardinghi: «Dobbiamo guardare avanti e non fare errori x la tua incolumità, tu sai, hai cervello e ti sai muovere».

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