Era un figlio di San Giorgio Extra, quel rione sospeso a metà tra il centro storico e la prima periferia, il macchinista Giuseppe Cicciù, 51 anni, morto nel Lodigiano mentre era alla guida di un modernissimo e velocissimo Frecciarossa di Trenitalia che stava correndo a 300 km orari.
Era uno dei tanti reggini che, da giovani, hanno lasciato le rive dello Stretto per emigrare al Nord per fare grande questo Paese con il loro lavoro e la loro rettitudine ricostruisce la Gazzetta del Sud in edicola -. Giuseppe era un ragazzo tranquillo e gioviale fin dalla sua fanciullezza trascorsa studiando, giocando con gli amici e frequentando la parrocchia di don Gaetano Marcianò. Sua madre Elena Praticò – una delle donne pie del quartiere –, non gli avrebbe mai consentito di “saltare” la messa della domenica mattina.
Libri, amici e parrocchia: era questo il piccolo mondo di San Giorgio Extra in cui è cresciuto Giuseppe Cicciù, nei favolosi anni Settanta e Ottanta. Circondato e coccolato dall’affetto di papà Pasquale – scomparso oltre 30 anni fa e anche lui macchinista delle Ferrovie dello Stato –, della mamma Elena e delle due sorelle Teresa e Giusy. Giuseppe era il figlio più piccolo e seguiva con passione il calcio: al primo posto le imprese della Reggina e subito dopo quelle dell’Inter. Con il sogno segreto di potere vedere un giorno una partita della Beneamata nel mitico stadio di San Siro.
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